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L’organo portativo

e uno “Zefiro Novo”


Torna, zefiro pinto, e l’erbe e i fiori
E i bei giorni rimena,
Che dell’aspr’ onde fuori
S’erga la soavissima sirena.
Torna, zefiro, torna, e ‘l ciel serena;
Che la mia stella fida
Meco s’assida in questa riva adorna.
Torna, zefiro, torna.
(Giovan Battista Strozzi, madrigalista, 1504-1571)

E lo Zefiro, un bel giorno, è tornato nella mia vita! L’ho definito lo Zefiro Novo che ha riportato con sé lo spirito dei “bei giorni”, facendo sì che “la mia stella fida”, la Musica, si sedesse nuovamente accanto a me. E’ per rendere grazie a questo zefiro e alla musica, stella fida ora ritrovata, che qualche anno fa ho iniziato a suonare l’organo portativo.

L’umbro Girolamo Diruta, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, descrive l’organo come lo strumento “che raccoglie in sé tutti gl’altri, cioè la virtù di tutti gl’altri istrumenti, con li quali il valore della musica ne le voci e ne’ suoni soavemente si scopre”. Egli scrisse circa l’uso dell’organo per dimostrare e far intendere quale fosse il “vero” modo di usarlo e quale fosse “la dolcezza e soavità che rendano in esso insieme bene uniti tutti gli altri instrumenti, per rappresentare in Terra il soavissimo concento de’ Beati spiriti in Cielo, in lodare Iddio Benedetto (quel che nell’Organo di S. Pietro di Perugia si mostra con un bel verso, dicendo Haec si contingunt Terris, quae gaudia Caelo? come se dicesse Se in Terra si gode di tale soave armonia, con tanto artificio procurata all’orecchie umane, qual godimento e gioia debbe essere de’ cori Angelici e de’ Beati spiriti in Cielo?)”. L’organo quindi è, in terra, il simbolo della musica delle sfere celesti, della musica suonata al cospetto di Dio e illuminata direttamente dalla sua Luce: è il simbolo della musica di Dio. Di una musica che regna in un’altra dimensione e che è inaudibile, inimmaginabile, inconcepibile per noi mortali.

Il piccolo organo portativo, per secoli e fino ai nostri giorni, ha mantenuto al massimo questa valenza simbolica. Il portativo, nella tradizione iconografica, è lo strumento di Santa Cecilia, della musa Polimnia e della personificazione della Musica stessa. Esempi insuperabili in bellezza ed efficacia simbolica di queste tre manifestazioni dello strumento sono tre opere riconducibili alla mia terra, le Marche: l’Estasi di Santa Cecilia e quattro Santi di Raffaello Sanzio da Urbino, Polimnia di Giovanni Santi, padre di Raffaello, e La Musica di Giusto di Gand, realizzata ad Urino alla corte di Federico da Montefeltro. In particolare il capolavoro di Giusto, che è intriso dei temi guida dell’ermetismo e della cabala e che può essere definito come una sintesi felice del pensiero filosofico e musicale di Marsilio Ficino, sembra essere una rappresentazione iconografica raffinatissima di quanto verrà espresso poi, in modo più ingenuo, da Diruta.








L’organo portativo nel dipinto è poggiato sul terzo gradino sotto il piano del trono della musica, lo stesso gradino in cui è inginocchiata una figura maschile, un Uomo. La donna in trono, la Musica, con l’indice della mano sinistra ed il braccio sinistro abbassato indica lo strumento sotto i suoi piedi, simbolo della musica in terra. Sul palmo della mano destra alzata tiene un libro, simbolo della sapienza che permette la trasmissione del messaggio divino. Sopra la testa della donna, nell’archivolto, c’è un’iscrizione cufica, magica, che rimanda all’antica Persia, luogo in cui la musica sarebbe miticamente nata o meglio dove sarebbe stata rivelata sulla terra. Questa iscrizione contiene quindi i fondamenti, i princìpi della musica, e rimanda alla sua essenza divina.

Nell’opera di Giusto vi è un percorso ascensionale a cui corrisponde il crescere della luce e il passaggio cromatico dal verde all’oro passando per il rosso. La cosa che mi ha sempre affascinato dell’organo portativo, fin dalla giovinezza, è proprio questa sua enorme forza simbolica, cresciuta esponenzialmente negli ultimi secoli per un fatto non da poco: lo strumento che doveva rappresentare tangibilmente, con il suo suono, la musica divina in terra aveva incredibilmente perso proprio il suono! Uscito dalla pratica musicale già agli inizi del XVI secolo, scomparsi gli strumenti d’epoca, il portativo è giunto fino a noi solo grazie all’iconografia e partendo da questa sono stati costruiti in tempi recenti gli esemplari attualmente in uso. Anche di ciò che si suonava con esso non sappiamo granché. Insomma, il portativo è giunto a noi esclusivamente come un simbolo, il simbolo della Musica. Anche la mia scelta di suonarlo per celebrare lo Zefiro Novo che proprio la Musica ha riportato nella mia vita è essenzialmente simbolica.

Rappresenta la mia ripartenza verso altre direzioni e verso altre dimensioni musicali. La mia volontà di percorrere strade nuove o di ripercorrere quelle già battute con una consapevolezza diversa, soprattutto della parte spirituale del mio essere.

Udirai melodia del bel sonare
de vantaggiati pifari e trombecti,
arpe et leuti con dolce cantare.
Viole, dolcemele et organecti,
con citarae, salterio et cantarelle
tu poderai dançar se te ‘n dilecti.
Et vederai queste mie donne belle
dançar a bassadança et lioncello
a doi a doi con l’altre damigelle,
quai a la piva e quale a saltarello,
e chi a rostibolì et chi al gioyoso,
et chi a la gelosia novo modello.
(Gaugello Gaugelli della Pergola, 1462)